domenica 1 luglio 2012

IL FASCINO DELL’ORDINAMENTO TRIBUTARIO

Per l’istituzione di un’imposta ordinaria patrimoniale in vista di un sistema fiscale perequativo. Confronto con Gianni Marongiu, padre dello Statuto dei diritti del contribuente.
La crisi in atto riporta al centro del dibattito la revisione del sistema tributario come fonte di gettito e come strumento per finanziare politiche di welfare.
La recente ristampa di un breve saggio di Luigi Einaudi[1], avente ad oggetto l’imposta patrimoniale, ha offerto lo spunto per una serie di riflessioni sull’introduzione nel nostro sistema di un’imposta che gravi sui patrimoni.
Si tenga presente che la patrimoniale non è per nulla una novità, ma un’idea risalente nel tempo, cionondimeno potrebbe oggi risolvere quel problema di ridistribuzione delle ricchezze che affligge il nostro sistema.
Una distinzione deve esser chiara in premessa: il patrimonio è uno stock, mentre il reddito è un incremento patrimoniale. Il patrimonio ha natura statica, indica ciò che si ha, invece, il reddito è un flusso e indica ciò che si acquisisce.

Gianni Marongiu
Perché un’imposta ordinaria patrimoniale e non straordinaria?
Alla domanda si risponde facilmente citando ancora Einaudi: nel suo libello pubblicato nel 1946, a fronte del tentativo di risollevare l’Italia dalle conseguenze economiche della guerra, egli ipotizza una straordinaria patrimoniale in presenza di un legislatore tributario onesto. In sostanza il prelievo una tantum sui patrimoni, è sostenibile solamente in cambio della garanzia che i redditi futuri non saranno più colpiti dagli innumerevoli balzelli dell’imposizione ordinaria. Un colpo di spugna per sanare il passato. Ma questa è utopia. Storicamente, dopo un sacrificio contingente l’oppressione del fisco non è mai scemata.  Scrive l’economista piemontese: “In Italia nessuno crede, nemmanco a scuoiarlo vivo, che le imposte possano in futuro diminuire”.
Nell’Italia di oggi, strozzata dal debito pubblico, un prelievo straordinario sui patrimoni, sarebbe bruciato in breve e il sollievo sarebbe solo momentaneo, prima della ricaduta.
Professor Marongiu, in Italia esistono già delle imposte patrimoniali…
“Sì, l’IMU e l’imposta successoria, ma anche il canone TV e il bollo auto che si pagano per il solo possesso di un apparecchio tv o di un’automobile. L’IMU cosiddetta sperimentale, di innovativo non ha proprio nulla, tantomeno realizza il federalismo fiscale. Con l’IMU i comuni hanno scarsa possibilità di scelta, lo Stato, seppur legittimamente, predetermina quasi tutto e tiene per sé una consistente parte del gettito, inoltre i comuni non hanno la facoltà, ma l’obbligo di tassare la prima casa”.
Lei fu molto critico quando il Governo Berlusconi abolì l’imposta successoria, è vero? “Assolutamente sì, il gettito che perdemmo fu ingentissimo, inoltre venne meno quell’ultimo filtro che consentiva di tassare la ricchezza laddove qualcuno nella catena dei passaggi avesse scavalcato il fisco. Si badi, la successione dovrebbe essere un’ imposta uguagliatrice per il merito. Cioè colpire di più la ricchezza immeritata, quella, per così dire, trovata,non guadagnata e di meno quella costruita col lavoro. In Italia c’è una differenza troppo esigua tra le aliquote applicate alle successioni in linea diretta e quelle applicate alle successioni tra collaterali. Spesso nelle successioni in linea diretta il figlio ha partecipato in gran parte al consolidarsi del patrimonio che eredita. Basti pensare, che nel nostro Paese, i figli sovente lavorano nell’impresa famigliare: risulta evidente l’iniquità di una tassazione che colpisce un patrimonio in parte guadagnato e colpisce relativamente poco il patrimonio ereditato dallo zio d’America. Occorre penalizzare le successioni tra collaterali con aliquote progressive”.
Professore, lei quindi è favorevole all’istituzione di una imposta ordinaria patrimoniale?
“Certamente, ricordo che già in sede di lavori preparatori per la riforma tributaria del 71’-73’, Cesare Cosciani propose l’ordinaria patrimoniale con aliquota moderata, poi l’ipotesi sfumò. L’obiettivo della patrimoniale dev’essere l’equità, vale a dire una distinzione quantitativa e qualitativa dei beni. I patrimoni, come è ovvio, non hanno tutti la stessa consistenza e la stessa qualità, pertanto qualcosa bisogna far pagare a tutti,ma in modo proporzionale. Immaginiamo, come diceva lo stesso Einaudi, che l’ordinamento fiscale sia una pianura. Su questa pianura devono sorgere i tre pilastri del sistema: la tassazione dei redditi, dei patrimoni e dei consumi. Solo così si costruisce una rete, per cui un fattore di capacità contributiva può essere sempre intercettato ed equamente tassato”.

Per comprendere le ragioni dell’ordinaria patrimoniale oggi, sono ancora utilissime le sagge parole di Cesare Cosciani, che negli anni Quaranta scriveva: “L’imposta ordinaria sul patrimonio può venir giustificata in due casi: a) quando il sistema economico si trova ancora in una fase molto arretrata ed il sistema tributario è semplice e rudimentale […] b) quando il sistema economico si trova in una fase evoluta, l’imposta patrimoniale coesiste con quella sul reddito ed assume uno spiccato carattere di complementarietà rispetto alle altre imposte dirette. Il ritorno dell’imposta patrimoniale nei sistemi tributari, è, del resto, pienamente giustificato: man mano che il sistema economico si fa più complesso e che la percentuale di reddito nazionale annualmente prelevato dallo Stato si fa sempre più elevata, sorgono nuove esigenze: come quella di basare l’imposizione oltre che su elemento oggettivi, reali, anche su elementi soggettivi, personali che […] possono rendere sempre più divergenti le capacità contributive dei singoli a parità di condizioni puramente obbiettive”[2]. Il secondo caso, sembra una nitida fotografia dell’Italia attuale.
Marongiu, è evidente che la precarietà del lavoro e la crisi del welfare classico impongano nuove forme di integrazione del reddito, il sistema tributario che compito deve avere?
“Quello di reperire le risorse, e di porre l’attenzione sulla famiglia, sulle cosiddette economie di scala. L’ordinamento tributario deve esercitare fascino sul contribuente, deve cioè rispondere alla domanda sul perché si pagano i tributi, il cittadino deve riscontrare mutamenti tangibili a fronte del suo sforzo contributivo.
La cosiddetta compliance deve mirare alla solidarietà fiscale, vale a dire che gli adempimenti devono avere finalità extrafiscali, tra cui quella di consentire ai giovani di costruire il futuro.
Il nostro è un paese a natalità zero, governato spesso da persone che vivono fuori dal tempo, si deve aver ben presente che la denatalità dell’Italia ci costa mezzo punto di PIL ogni anno. Un fisco che pensa al domani può fornire le risorse necessarie per le politiche di welfare, non solo con la patrimoniale o con tributi di scopo, ma anche con la revisione periodica di tutte le leggi di esenzione, deduzione ed agevolazione che sottraggono base imponibile; nondimeno sarebbe necessario ridurre o abolire tutte quelle manomorte tributarie come l’imposta di bollo o di registro che sfavoriscono la circolazione dei beni; inoltre è assolutamente anacronistica la sopravvivenza di alcuni regimi privilegiati come le regioni a statuto speciale, oggi le condizioni che ne giustificarono la creazione sono ampiamente superate”
Sembra dunque coerente, anche alla luce di una lettura critica e contestuale di Einaudi, riaprire la strada indicata da Cosciani, circa la complementarietà dell’imposta ordinaria patrimoniale.

Carlo Rovello 



[1] Luigi Einaudi, L’imposta patrimoniale, Chiarelettere, 2011
[2] Cesare Cosciani, L’imposta ordinaria sul patrimonio nella teoria finanziaria, S. T. E. U. – Urbino - 1940