giovedì 7 giugno 2012

élites e cambiamento


Grande è il disordine sotto il cielo del nostro paese ed io ho intenzione di soffermarmi su quello che, mi pare, un non nuovo problema chiave, ovvero la questione delle èlites politiche e dei loro meccanismi di selezione.

Si tratta di un vecchissimo problema che sorge immediatamente dopo l'unità dell'Italia e mi riprometto di dare a questo studio maggiore organicità, soprattutto sul piano teorico. Come se non bastasse i classici che si sono occupati di elitismo sono italiani (cito Pareto, Mosca, Michels, Filippo Burzio), per non parlare di autori più schierati politicamente come Gobetti, Carlo Rosselli e Bobbio stesso.

L'Italia, di fronte ad una crisi economica di portata storica, ha inteso, tramite il Presidente della Repubblica Napolitano e l'accordo tra i partiti di un'inedita maggioranza parlamentare, affidare ad un gruppo di tecnici il governo del paese. Una presunta competenza tecnica è stata la legittimazione per una compagine di governo in nessun modo espressione del voto democratico, se non attraverso una delega del Parlamento, a sua volta espressione di una “casta” di nominati dai partiti, piuttosto che di una normale scelta democratica dei cittadini, attraverso il voto.

Al momento dunque alcuni tecnici (professori universitari o funzionari dello stato) sono delegati a gestire le sorti e quindi il bene comune del paese con pretesa equanimità. Questa ragion di stato dovrebbe prevalere, in virtù dei curricula dei membri del governo rispetto agli interessi particolaristici di cui partiti e forze sociali sarebbero espressione. Il potere esecutivo del nostro stato è affidato alla presunta neutralità della tecnica, bypassando apparentemente ogni forma di partigianeria. Ma come ben sappiamo non esiste una tecnicità, tanto meno se economica, che possa ricomporre magicamente le contraddizioni che un paese come il nostro manifesta. Le classi sociali, seppur compresse e frammentate fanno il loro gioco, esprimono interessi e punti di vista che nessuna compagine governativa, che da questi interessi è lontana potrà ricomporre in modo solo presuntivamente neutrale. In buona sostanza poi la tecnica se non collegata politicamente alle parti sociali si schiera con le componenti più robuste della società.

Dopo i disastri della seconda repubblica e i rispettivi partiti, le cui èlites selezionate da un voto fasullo, si sono rivelate più o meno tutte incapaci di governare.



Per non ricevere accuse di cerchiobottismo, dirò che questa inadeguatezza ha avuto il suo acme nei governi di centro destra e dei suoi inquietanti ministri, oltre beninteso del suo capo Burlesque.

A questo punto, un del tutto impossibile buon governo dei tecnici avrebbe potuto alimentare un auspicabile ricambio delle èlites per quando finalmente si andrà a votare. Ma pare problematico, dopo le incertezze programmatiche gli errori e soprattutto le omissioni (penso all'imposta patrimoniale e al reddito minimo di cittadinanza) del governo riconoscere in questi tecnici una classe politica di ricambio. Nascosta dall'apparente neutralità c'è la rappresentanza di un coacervo di interessi più o meno forti, di lobbies organizzate che non possono non far pagare la crisi agli strati sociali più deboli e indifesi. I membri dell'attuale formazione di governo non si configurano come attori di un possibile ricambio delle èlites.

Dal canto loro i partiti, che si guardano bene dal palesare alleanze e spunti programmatici, pare siano intenzionati ad affidare alla bacchetta magica delle primarie le sorti di un ricambio di una, palesemente claudicante classe politica. Su questo mi riservo di intervenire in seguito. Così come in seguito mi riprometto di tornare ad affrontare il tema delle liste civiche e degli strumenti di selezione nel Movimento 5 Stelle.





Ugo Tombesi                                   Savona7/6/2012

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