mercoledì 23 maggio 2012

Sulle tracce di Tenco


Ho scritto questo brano dopo l’ascolto di un notturno radiofonico dedicato a Luigi Tenco e dopo un pomeriggio passato a Ricaldone. Alcuni racconti di mio padre mi hanno dato un movente in più.   Era il gennaio 1997.

Non si incontra quasi nessuno camminando fra queste vie scoscese, eppure Acqui Terme è lontana solo 8 km. Ricaldone sta su un pendio, c’è la grande cantina sociale, tutta grigia, intorno tetti di coppi sparpagliati e più oltre solo vigneti, immensi.

Il pomeriggio è tiepido nonostante sia il 31 di Gennaio; sono partito da solo con la mia auto, ho già visitato il Cimitero di Cassine: cerco una tomba, quella di Luigi Tenco.

La sera precedente ho ascoltato una trasmissione radiofonica in cui un giornalista ha rievocato la sua tragica scomparsa ancora avvolta nel mistero. La vicenda mi aveva sempre colpito, come mi colpisce la tristezza insostenibile di quelle poche canzoni sue che io conosco, di lui mi colpisce lo sguardo, che è un’occhiata fissa, decisa e un po’ inquietante. Voglio saperne di più, inoltre ho il pretesto di risolvere una questione sollevata da mio padre, il quale da sempre sostiene che un amico di famiglia aveva posseduto l’Alfa Romeo GT del cantautore.

Eccomi di fronte al piccolo cimitero di Ricaldone, so che deve essere sepolto lì per forza, entro e vado subito verso la mia sinistra; all’improvviso mi volto e incrocio quello sguardo tra mazzi di fiori; rimango immobile. Nel loculo a fianco c’è la madre, gli somiglia, c’è scritto “vedova Tenco”.

 Leggo e rileggo i nomi e le date, una corona di fiori porta la dedica: “ Associazione culturale Tenco Ricaldone”, sicuramente l’avevano deposta il giorno 27 per ricordare i trent’anni dalla morte. Penso subito che al paese troverò l’associazione e potrò avere altre notizie, invece non è così facile. Chiedo ad un uomo anziano e mi risponde che forse al bar qualcuno potrebbe sapere qualcosa.

E’ il tipico bar di paese dove si trovano sempre le stesse persone, figure grottesche annebbiate dal fumo e dall’alcool. Entro nella indifferenza più totale, bevo un caffè, poi domando dell’associazione. La barista chiama un uomo che sta seduto alle mie spalle il quale conosce i nomi di alcune persone membri dell’associazione pro Tenco. Mi scrivono i numeri telefonici, ringrazio e lascio come mancia il resto del caffè, rimangono tutti molto più stupiti di quando ero entrato. Ho la sensazione che in quel posto le giornate debbano essere di una noia mortale, lente e tutte uguali, proprio come diceva Tenco nelle sue canzoni, ma chissà se era così anche ai sui tempi…

Entro in una cabina e compongo uno di quei numeri, mi risponde una donna che alla domanda dell’automobile posseduta da Tenco risponde: “Nessuno se lo ricorda, che cosa vuole è morto da trent’anni!”. Quella frase mi urta, capisco che al paese a nessuno importa di Luigi. Vado con l’altro numero, stavolta la voce è più gentile e mi indica almeno che la sede dell’associazione è nel municipio: già, dovevo immaginarlo. Entro e su una porta leggo l’iscrizione “Associazione Culturale Tenco”, qualcuno ha aggiunto la frase “a rubare” dopo Associazione…La sento come una mancanza di rispetto, ma non conosco le vicende del luogo.

Il municipio sembra deserto, poi salgo al piano superiore dove vengo ricevuto da un uomo in giacca e cravatta, forse un impiegato, spiego brevemente la faccenda e dopo una telefonata mi consiglia di rivolgermi al fratello, il signor Valentino Tenco, che risiede a Recco.

Torno a casa soddisfatto, al cimitero ho provato una certa emozione, non mi resta che telefonare al signor Valentino. Sono fortunato, mi risponde subito, io temo di seccarlo con quella domanda banale, invece è molto disponibile. Mi conferma che suo fratello Luigi aveva posseduto una GT verde bottiglia, anche il colore corrisponde, poi aggiunge: “ Io la odiavo perché lo stancava molto”.

Carlo Rovello