Ho scritto questo brano dopo
l’ascolto di un notturno radiofonico dedicato a Luigi Tenco e dopo un
pomeriggio passato a Ricaldone. Alcuni racconti di mio padre mi hanno dato un
movente in più. Era il gennaio 1997.
Non
si incontra quasi nessuno camminando fra queste vie scoscese, eppure Acqui
Terme è lontana solo 8 km. Ricaldone sta su un pendio, c’è la grande cantina
sociale, tutta grigia, intorno tetti di coppi sparpagliati e più oltre solo
vigneti, immensi.
Il
pomeriggio è tiepido nonostante sia il 31 di Gennaio; sono partito da solo con
la mia auto, ho già visitato il Cimitero di Cassine: cerco una tomba, quella di
Luigi Tenco.
La
sera precedente ho ascoltato una trasmissione radiofonica in cui un giornalista
ha rievocato la sua tragica scomparsa ancora avvolta nel mistero. La vicenda mi
aveva sempre colpito, come mi colpisce la tristezza insostenibile di quelle
poche canzoni sue che io conosco, di lui mi colpisce lo sguardo, che è
un’occhiata fissa, decisa e un po’ inquietante. Voglio saperne di più, inoltre
ho il pretesto di risolvere una questione sollevata da mio padre, il quale da
sempre sostiene che un amico di famiglia aveva posseduto l’Alfa Romeo GT del
cantautore.
Eccomi
di fronte al piccolo cimitero di Ricaldone, so che deve essere sepolto lì per
forza, entro e vado subito verso la mia sinistra; all’improvviso mi volto e
incrocio quello sguardo tra mazzi di fiori; rimango immobile. Nel loculo a fianco
c’è la madre, gli somiglia, c’è scritto “vedova Tenco”.
Leggo e rileggo i nomi e le date, una corona
di fiori porta la dedica: “ Associazione culturale Tenco Ricaldone”, sicuramente
l’avevano deposta il giorno 27 per ricordare i trent’anni dalla morte. Penso
subito che al paese troverò l’associazione e potrò avere altre notizie, invece
non è così facile. Chiedo ad un uomo anziano e mi risponde che forse al bar
qualcuno potrebbe sapere qualcosa.
E’
il tipico bar di paese dove si trovano sempre le stesse persone, figure
grottesche annebbiate dal fumo e dall’alcool. Entro nella indifferenza più
totale, bevo un caffè, poi domando dell’associazione. La barista chiama un uomo
che sta seduto alle mie spalle il quale conosce i nomi di alcune persone membri
dell’associazione pro Tenco. Mi scrivono i numeri telefonici, ringrazio e
lascio come mancia il resto del caffè, rimangono tutti molto più stupiti di
quando ero entrato. Ho la sensazione che in quel posto le giornate debbano
essere di una noia mortale, lente e tutte uguali, proprio come diceva Tenco
nelle sue canzoni, ma chissà se era così anche ai sui tempi…
Entro
in una cabina e compongo uno di quei numeri, mi risponde una donna che alla
domanda dell’automobile posseduta da Tenco risponde: “Nessuno se lo ricorda,
che cosa vuole è morto da trent’anni!”. Quella frase mi urta, capisco che al
paese a nessuno importa di Luigi. Vado con l’altro numero, stavolta la voce è
più gentile e mi indica almeno che la sede dell’associazione è nel municipio:
già, dovevo immaginarlo. Entro e su una porta leggo l’iscrizione “Associazione Culturale
Tenco”, qualcuno ha aggiunto la frase “a rubare” dopo Associazione…La sento
come una mancanza di rispetto, ma non conosco le vicende del luogo.
Il
municipio sembra deserto, poi salgo al piano superiore dove vengo ricevuto da
un uomo in giacca e cravatta, forse un impiegato, spiego brevemente la faccenda
e dopo una telefonata mi consiglia di rivolgermi al fratello, il signor
Valentino Tenco, che risiede a Recco.
Torno
a casa soddisfatto, al cimitero ho provato una certa emozione, non mi resta che
telefonare al signor Valentino. Sono fortunato, mi risponde subito, io temo di
seccarlo con quella domanda banale, invece è molto disponibile. Mi conferma che
suo fratello Luigi aveva posseduto una GT verde bottiglia, anche il colore
corrisponde, poi aggiunge: “ Io la odiavo perché lo stancava molto”.
Carlo Rovello